Politica

“Vicenda Troisi”: parlano i due avvocati di parte, il padre della ragazza ed il sindaco Spagnuolo

La ricostruzione del “caso” attraverso i commenti dei legali, lo sfogo del genitore e le valutazioni del primo cittadino

Alfonso Maria Chieffo e Biancamaria D’Agostino

Il caso giudiziario che ha visto coinvolti l’assessore comunale Toni Troisi ed una studentessa oggi 21enne, all’indomani della conclusione del primo grado di giudizio, viene spiegato e commentato ai due legali di parte: Alfonso Maria Chieffo per la difesa e Biancamaria D’Agostino per la parte offesa.

«Toni Troisi è innocente   ha esclamato l’avvocato Chieffo davanti ai nostri taccuini –, non solo perché lo è fino al terzo grado di giudizio, ma soprattutto perché la riparametrazione dei fatti compiuta dal tribunale non ci soddisfa affatto. Eravamo consapevoli che si trattava di un processo difficile perché, dopo la riforma dell’allora ministro Carfagna, difendersi da questo tipo di accuse è molto complicato. Basti pensare che anche toccare semplicemente una spalla o dare un bacio sulla guancia è considerato indistintamente atto sessuale e, oltre alla denuncia della persona offesa, non servono prove per condannare l’imputato. Aritmeticamente – osserva l’avvocato – se la pena inflitta è stata di due anni, significa che è stato applicato quasi il minimo per questo tipo di reato, ritenendolo evidentemente di minore gravità. In ogni caso noi crediamo che il processo sia stato celebrato troppo frettolosamente perché uno dei giudici stava per essere trasferito e c’era il rischio che il dibattimento potesse ripartire daccapo. Ed, infatti, la lista dei testi della difesa è stata tagliata, negandoci la possibilità di ascoltare chi avrebbe potuto testimoniare, per esempio, che non è vero che la ragazza andò via prima della fine dell’ultima lezione, ma che, anzi, si trattenne per diverso tempo sull’uscio conversando serenamente con il mio assistito. In altre parole – aggiunge Chieffo -, se i fatti contestati vengono descritti esclusivamente dai protagonisti, mettendoci di fronte a due versioni diverse, ci sembrava fondamentale poter ricostruire i momenti immediatamente successivi per evidenziare che non c’era nessuna fretta, nessuna agitazione, niente che facesse neanche lontanamente supporre che qualche minuto prima, nel chiuso di una stanza, si fosse verificato realmente ciò che sostiene la ragazza, la quale, anche nei giorni successivi, appariva pubblicamente serena. Il mio assistito, inoltre, non ha avuto la possibilità di spiegare che è stato tutto un malinteso attraverso una dichiarazione spontanea da rendere in una occasione diversa da quella dell’ultima udienza, a cui, quindi, non ha preso parte, per evitare di mettere ulteriore pressione sul figlio maggiore chiamato a testimoniare. La vicenda è estremamente dubbia – conclude il legale – e a mio parere Troisi è stato semplicemente vittima della necessità di chiudere un processo durato meno di un anno, cioè un periodo di tempo molto breve. Riteniamo, perciò, che in Corte d’Appello a Napoli, in un ambiente più sereno, il processo possa riaprirsi con maggiori probabilità di riuscire a dimostrare l’innocenza del mio assistito. Per il resto posso già escludere che in questo caso si applichi nei confronti di Troisi la cosiddetta legge Severino, ovvero la sospensione dai pubblici uffici, e che, per come la vedo io, non c’è alcuna necessità che si dimetta dalla carica di assessore, men che meno da quella di consigliere, così come non c’era alcuna ragione ostativa alla sua candidatura un anno fa quando era già sotto processo».

Alle dichiarazioni dell’avvocato dell’imputato è seguita una lunga nota dell’avvocato della parte offesa, Biancamaria D’Agostino, consegnata alla stampa nel tardo pomeriggio di ieri.

«Invito alla massima prudenza nei commenti – si legge nella nota – in merito alla sentenza di primo grado che ha condannato a due anni di reclusione Antonio Troisi e per la quale si attendono le motivazioni: le sentenze vanno rispettate anche se non se ne condivide il contenuto e i processi si celebrano nelle aule di giustizia, non attraverso i media né sui social. Dissento dalle esternazioni mediatiche di chi ha voluto attribuire ad un’asserita “fretta” nella celebrazione del dibattimento un esito sfavorevole all’imputato. Mi meraviglia il paradosso che, piuttosto che lamentarsi delle frequenti lungaggini processuali (dove la giustizia che arriva in ritardo molto spesso si risolve in denegata giustizia), ci si dolga dell’efficienza di un procedimento di primo grado che in tempi non esasperatamente lunghi ha garantito comunque appieno a tutte le parti processuali il pieno esercizio del proprio ruolo nel rispetto di tutte le regole processuali. Se il Troisi non è stato sentito è unicamente perché per ben due volte, in due distinte udienze, ha deciso di non comparire dinanzi al collegio, senza giustificato motivo; se un teste dell’accusa non è stato ascoltato è perché la sua testimonianza è stata ritenuta superflua, così come per le stesse motivazioni di superfluità non sono stati sentiti tre testi indicati dalla parte civile. Il clamore mediatico successivo alla condanna del Troisi – scrive ancora D’Agostino – pare sia stato sinora focalizzato unicamente sui risvolti politici della vicenda, che invero nulla hanno a che vedere con la stessa: i giornalisti chiedono a me, avvocato della vittima, quali saranno le conseguenze della sentenza sull’assessorato del Comune di Atripalda… ebbene questa vicenda non mi interessa minimamente ed avrei preferito che mi venisse chiesto come sta ora la mia assistita, una ragazza poco più che adolescente all’epoca dei fatti, figlia di persone rispettabili di Atripalda, che ogni giorno, nella propria famiglia, con sacrificio e dedizione conquistano e difendono il valore della normalità. L’aspetto umano della vicenda, da parte di tutti coloro che a vario titolo hanno interloquito tramite i media sulla stessa, non ha trovato considerazione alcuna in nessuna sede, dove anzi è calato un assordante ed eloquente silenzio, e questo non fa onore ad una società che si assume civile e progredita. La ragazza – si legge ancora nella nota – doveva sostenere il giorno dopo un importante esame scritto di matematica all’Università ed era concentrata sugli esercizi da svolgere, senza poter minimamente immaginare, e quindi prevenire, quello che sarebbe accaduto, senza sapere che la sua vita sarebbe purtroppo cambiata e che la spontanea allegria tipica della sua giovinezza sarebbe stata offuscata. Il mio impegno costante, dopo averla vista piangere ininterrottamente per ore, in questi due lunghi anni, è stato quello di incoraggiare la mia assistita a credere nella Giustizia e ad avere fiducia nel sopravvento della verità, sostenendola nei momenti di sconforto, quando si celebrava da parte della difesa dell’imputato, sia pur nel legittimo esercizio della stessa, il più classico degli stereotipi: la colpevolizzazione della vittima. Dobbiamo constatare tutti, con amarezza, che nel XXI secolo, nonostante la meritoria campagna di sensibilizzazione governativa contro la violenza sulle donne, oggi la maggior parte dei reati sessuali non viene denunciata e resta quindi impunita, per un semplice motivo: si prova timore, anzi terrore, a dover subire giudizi e pregiudizi distorti da parte di coloro che a tutti i costi cercano di dare una giustificazione a quanto accaduto, una giustificazione favorevole all’autore della violenza, anche quando una giustificazione non c’è mai. Quindi questo processo di colpevolizzazione della vittima la rende vittima una seconda volta La mia assistita, nonostante la giovane età, è stata coraggiosa ad affrontare tutte queste vicissitudini e la mia più grande soddisfazione è stata quella di averle potuto dimostrare che il suo coraggio è stato finora riconosciuto e che la sua sofferenza forse sarà servita ad infondere coraggio e fiducia nella Giustizia anche per altre donne che hanno subito esperienze analoghe. Quindi concludo con un invito: parliamo di più delle vittime e non solo dei presunti colpevoli».

All’incontro era presente anche il padre della ragazza, un noto professionista cittadino, che ha voluto aggiungere alcune considerazioni di natura personale: «Ho letto e sentito dire che mia figlia si sarebbe inventata tutto perché io volevo attaccare politicamente Troisi: come si può soltanto pensare una cosa del genere? E che ragione avrei avuto per farlo se non mi sono mai occupato di politica e l’unica volta, in vita mia, che ho sostenuto una candidatura ad Atripalda è stato nel 2007 proprio a favore di Troisi che ho sempre considerato un amico, al punto che quando negli anni successivi mia figlia ha avuto necessità di ripetizioni private, prima al liceo e poi all’università, non ho mai avuto alcun dubbio nel suggerirle di affidarsi a lui. E non l’ho fatto neanche per i soldi del risarcimento come qualcuno anche dice perché, fortunatamente, ne guadagno abbastanza col mio lavoro. E, infine, davvero non accetto le accuse di chi, pur di prendere a tutti i costi le difese di Troisi, fa passare mia figlia per colpevole e tenta di distruggerci mediaticamente».

Naturalmente l’esposizione pubblica di Troisi, eletto consigliere comunale nel giugno scorso e nominato poi assessore dal sindaco Giuseppe Spagnuolo, chiama anche il primo cittadino a dover assumere una posizione rispetto alla città. «Siamo di fronte – ci ha detto il sindaco – ad un giudizio di primo grado, con sentenza non pubblicata, che riguarda la sfera privata di due famiglie, per cui, considerata la delicatezza della vicenda, ritengo che in questo momento siano necessari soprattutto prudenza e rispetto. In queste ore, cioè, mi pare che l’aspetto privato sia prevalente rispetto quello pubblico, le cui implicazioni, naturalmente, saranno certamente valutate successivamente con grande attenzione a mente fredda, insieme all’assessore Troisi ed a tutta la maggioranza. Posso già aggiungere, comunque, che per me non è cambiato nulla, nel senso che credevo come credo nell’innocenza di Troisi, perché lo conosco da oltre trent’anni, durante i quali il nostro rapporto di fiducia ed amicizia non è mai stato in discussione. Personalmente ero convinto che Troisi riuscisse a dimostrare la propria innocenza già in primo grado, per cui sarà necessario valutare con calma le decisioni da assumere insieme – ha concluso il primo cittadino -, tenendo principalmente conto da un lato la capacità di Troisi di ritrovare la serenità necessaria a portare avanti il suo assessorato e dall’altra le aspettative della città».

 

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Gianluca Roccasecca