
Crisi della produzione industriale in Italia: i dati allarmanti dell'Istat e le risposte del governo Meloni - Ilsabato.com
L’ultimo rapporto dell’Istat ha portato alla luce una situazione allarmante per l’industria italiana, certificando due anni consecutivi di calo nella produzione. Questo scenario si presenta mentre il governo guidato da Giorgia Meloni cerca di affrontare la crisi economica con iniziative forzate, come quella proposta dal ministro per il made in Italy, Adolfo Urso. La riconversione della filiera dell’automotive in un contesto di conflitti globali, tra cui l’utilizzo di armamenti, ha suscitato polemiche e sollevato interrogativi sulla sostenibilità di tali misure.
Dati preoccupanti e settori in difficoltà
L’Istat ha segnalato un improvviso e drammatico crollo della produzione industriale, con un abbattimento del 37% per il settore automotive rispetto all’anno precedente. Questo dato svela la fragilità di un segmento già duramente colpito dalla dismissione della produzione manifatturiera. Il rapporto mette in evidenza non solo il declino dell’automotive, ma anche delle altre aree chiave come il tessile, i mezzi di trasporto e il settore della raffinazione del petrolio, dove si registrano cali significativi. La produzione di mezzi di trasporto ha ridotto il suo volume del 13,1%, mentre i prodotti petroliferi raffinati hanno visto un calo del 6,2%.
La situazione si complica ulteriormente con l’impatto negativo sulle ore lavorate. Secondo i dati recenti, c’è stato un decremento del 0,7% nel quarto trimestre del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023, mentre il valore del fatturato industriale è sceso di ben 7,2%. Questo deterioramento non si limita ai numeri: molti lavoratori si trovano ad affrontare situazioni difficili, come evidenziato dall’aumento del 47,5% delle ore trascorse in cassa integrazione, che rappresenta uno dei tassi più elevati dal 2019.
Il piano di militarizzazione e le richieste di Bruxelles
La proposta di riconversione militare della filiera industriale, sostenuta dal governo Meloni, si sposa con una strategia di militarizzazione dell’Europa promossa dalla Commissione Ue. Questa misura, però, è considerata da molti osservatori come un’illusione, poiché i risultati sperati non si sono manifestati. Il commissario europeo per l’economia, Valdis Dombrovskis, ha sottolineato che “gli investimenti nel settore militare si basano sul supporto pubblico e non garantiranno una crescita robusta.”
Bruxelles, dunque, ha suggerito che gli stati membri possano indebitarsi per un quadriennio, promettendo di scorporare la spesa militare dal calcolo del deficit e del debito nel patto di stabilità. Tuttavia, questo approccio solleva dubbi, in quanto potrebbe aggravare una situazione economica già compromessa, bloccando investimenti vitali in settori con maggiore potenziale di crescita. I timori sono condivisi anche dal ministro dell’economia Giorgetti, che ha manifestato la necessità di valutare l’effettivo impatto sul prodotto interno lordo.
Le ripercussioni sui mercati internazionali
Il contesto internazionale complica ulteriormente la condizione dell’industria italiana. I dazi del 25% imposti dalle autorità americane sull’export italiano, in particolare settori in difficoltà come meccanica, alimentare e tessile, contribuiscono a un quadro già compromesso. L’avanzo commerciale dell’Italia con gli Stati Uniti ha registrato dei segni positivi nel 2024, nonostante ciò la produzione continua a contrarsi. Questa contraddizione potrebbe avere conseguenze gravi per un paese che fonda il proprio sviluppo sull’export, con il 10% delle sue vendite dirette verso il mercato americano.
Un ulteriore aspetto preoccupante è il potenziale incremento dell’inflazione causata dai dazi, che colpirà soprattutto i lavoratori già in difficoltà a causa della cassa integrazione. Questo scenario pessimale suggerisce che le misure del governo attuale non sono in grado di risolvere le sfide strutturali dell’economia italiana. Le critiche non si sono fatte attendere, con figure politiche come Giuseppe Conte e Antonio Misiani che hanno evidenziato la mancanza di direzione e coerenza nel piano economico della Meloni, invocando un cambiamento significativo nella gestione della crisi industriale.