Il presidente dell’Abellinum calcio illustra i progetti della società, ma puntualizza: «I risultati sportivi non bastano: agibilità totale del “Valleverde” e licenza di ristorazione»
Quanto è difficile essere il presidente di una squadra di calcio atripaldese che milita nelle categorie “inferiori”? Quali sono i problemi che ha dovuto affrontare e affronta quotidianamente nell’espletamento del suo ruolo?
E’ difficile, molto difficile. Si è presi da mille questioni: dalla necessità di reperire risorse a quella di garantire una struttura efficiente, dalla costruzione di una squadra in grado di ben figurare e di tenere alta la tradizione cittadina, al seguire le questioni burocratiche che oggi impegnano in maniera eccessiva chi si occupa di sport dilettantistico che, non dimentichiamolo, è fondato sul volontariato, la passione e il sacrificio di chi investe senza cullare aspettative di ritorni, né economici né di altro tipo.
Perché Atripalda non è riuscita a creare una sola società e una sola squadra di calcio?
Non lo so e francamente è una domanda che ultimamente non mi sono mai posto. Probabilmente si vive una sorta di mania di protagonismo che spinge le persone ad essere i numeri uno di una realtà piccola e magari duratura quanto la vita di una farfalla, piuttosto che far parte, anche con un ruolo più defilato, di una “scommessa”, di una società con basi solide, che guarda oltre il proprio naso. Le porte della società che presiedo sono aperte. Senza alcun intento polemico verso chicchessia, a me sembra che l’aad Abellinum Calcio 2012 sia ormai l’unica società calcistica in senso classico atripaldese. Oltre noi, attualmente operano solo “scuole calcio”, e probabilmente non ci sono i presupposti per unire le forze. Alcuni segnali sono chiari e non vanno nella direzione da te auspicata. Io non pretendo di assumere una posizione di predominio derivata dal livello delle attività svolte e sono tuttora disponibile, ma non devo essere io a proporre, anche perché non voglio apparire quello che stoppa le iniziative degli altri. Mi auguro, perlomeno, che i calciatori più bravi e promettenti possano essere dirottati verso la nostra società e non verso le squadre di altri paesi.
Gestite lo stadio Valleverde dal febbraio 2014, qual è la situazione attuale della struttura e cosa vi piacerebbe fosse migliorato e/o cambiato?
Dopo una gestione provvisoria, ci siamo aggiudicati il bando indetto dal Comune che ci assegna la struttura per 6 anni, con possibilità di rinnovo per altri 6. Abbiamo effettuato lavori importanti già al tempo dell’assegnazione provvisoria; innanzitutto abbiamo messo mano agli spogliatoi e ai bagni per il pubblico, restituendo loro le condizioni minime di igienicità e sicurezza; abbiamo agito anche sul campo di gioco, che è stato completamente ripulito dalle erbacce che vi erano cresciute, livellandolo e assicurandogli una manutenzione continua. Abbiamo inoltre riasfaltato il piazzale sottostante la tribuna coperta, pensando di poterlo utilizzare per iniziative diverse, quali ad esempio piccoli spettacoli musicali o teatrali. Infine, abbiamo realizzato due campi in sabbia di mare che in estate hanno ospitato tornei di beach volley e beach tennis molto partecipati e seguiti. Da qualche settimana abbiamo anche cominciato a lavorare sul campetto esterno in erba sintetica, ripristinando parte degli spogliatoi. L’Amministrazione comunale è una macchina complessa, un mosaico dove, con responsabilità diverse ma tutte importanti, ci sono molte tessere: Sindaco, Assessori, Consiglio comunale, Uffici tecnici ed amministrativi. Non tutti, devo dire, hanno remato nella stessa direzione; e la direzione per me era una sola: sostenere una associazione di cittadini atripaldesi che si assumevano l’onere di restituire alla città un bene pubblico, un bene comune dove si ricreavano spazi di socialità. Uno spazio pubblico che stava andando in rovina e che vive solo grazie ai nostri sacrifici. C’è chi ha tentato di aiutarci e chi tuttora cerca solo di metterci i bastoni tra le ruote e un giorno ci sarà l’occasione per dire chi ha capito i nostri sforzi e chi invece, per motivi che non conosco, si è messo di traverso. Le condizioni con cui gestiamo la struttura sono ben diverse da quanto accadeva in passato, quando tutte le spese di ordinaria e straordinaria manutenzione, la custodia e le utenze erano a totale carico del Comune che assegnava anche un contributo a chi deteneva le chiavi del campo. I risparmi per il Comune sono evidenti, ed io non sono tra quelli che aspettano assistenza. Tuttavia, io chiedo all’Amministrazione di “valorizzare” anche le spese sostenute per migliorare una struttura che resta del Comune e resta a disposizione dei cittadini e delle altre società atripaldesi. Parlo di agibilità, e soprattutto del superamento della limitazione a 100 spettatori e dell’apertura al pubblico della tribuna coperta, finora vietato dalla Commissione Pubblici Spettacoli per alcune carenze che non sono sopraggiunte negli ultimi anni ma risalgono all’epoca del rifacimento di quella parte del campo. Al Comune chiediamo inoltre il rilascio della licenza per l’apertura di uno spazio per il ristoro; è improponibile un campo di calcio senza uno spazio bar per prendere un caffè o una bottiglietta d’acqua; noi, a differenza di altre strutture che esistono in provincia, non vogliamo provvedere in maniera “irregolare”; avremmo anche individuato uno spazio chiuso ricavato sotto la tribuna, ma sembra che questo spazio non sia nelle condizioni di essere utilizzato. Perché questo spazio non può essere utilizzato non devo essere io a dirlo. Mi aspetto inoltre una maggiore vigilanza e pulizia degli spazi di accesso al campo. Oggi chi accede al Valleverde deve scansare rifiuti di ogni genere: da cumuli di mosto a tazze di gabinetto, da televisori a pneumatici consumati e masserizie di ogni tipo; sono messi a rischio incolumità e decoro e non possiamo essere noi a rimuovere tutto quello che alcuni incivili vengono lì a depositare.
Quasi tutti gli sport atripaldesi vivono grandi problemi organizzativi, legati soprattutto all’assenza di strutture idonee: il basket è costretto a trasferirsi alla ferrovia, la pallavolo gioca in una struttura non idonea… perché è così difficile realizzare un palazzetto dello sport nella cittadina del Sabato? Cosa avrebbe fatto se fosse stato assessore allo sport?
E’ oltremodo difficile rispondere ad una domanda posta in questi termini. Mi chiedo: Assessore oggi, ieri o l’altro ieri? Cosa avrei fatto o non fatto rispetto al Valleverde o per lo sport in generale e per tutte le strutture cittadine? Più che dire quali interventi specifici o quali iniziative avrei messo in campo, posso risponderti su come, secondo me, dovrebbe essere un Assessore o un Delegato allo sport di un qualsiasi Comune d’Italia. Io credo che tutto il ruolo andrebbe giocato nel favorire le condizioni migliori affinché le esperienze sportive insistenti su quel territorio possano esprimersi al meglio. Oggi, io vedo, ma non è il caso di Atripalda, assessori che organizzano direttamente, assessori che sponsorizzano e che non si preoccupano invece di impiantistica, laddove per impiantistica non dobbiamo pensare solo a spazi costruiti per lo specifico, ma anche a impianti polivalenti all’aperto, ai cosiddetti play ground o a spazi da attrezzare; penso alle “palestre” popolari e ad interventi volti a salvaguardare, attraverso lo sport, la salute della popolazione anziana e con meno opportunità di seguire corsi in una struttura privata. Oggi, indubbiamente, con le ridotte disponibilità di fondi trasferiti dal Governo centrale e da quelli regionali per i Comuni ci sono meno possibilità rispetto al passato. Credo sia problematico pensare ad un Palazzetto dello sport per Atripalda; in tempi diversi, c’era stata una interessante proposta del prof. Geppino Grimaldi che aveva suggerito di intervenire sul campetto di Contrada Santissimo, quando questo era ancora uno spazio in asfalto, recintato ma non gestito e pertanto utilizzato solo saltuariamente. All’epoca forse sarebbe stato facile anche reperire i finanziamenti e avrebbero trovato una dimensione diversa le squadre cittadine di pallavolo e basket ed anche la pallamano. Su questo Atripalda non è stata in grado di assecondare e favorire la domanda; tutto il contrario di alcuni Comuni che invece, in maniera del tutto anomala, hanno pensato con l’offerta di favorire una domanda; è questo il motivo per cui in Provincia abbiamo impianti sportivi costruiti per una disciplina che in quel Paese non trova praticanti, mentre altrove ci si deve organizzare ed “emigrare” nei centri limitrofi. E’ sempre mancato, a livello provinciale e comprensoriale, un coordinamento volto ad eliminare gli sprechi e favorire la costruzione solo di impianti “necessari”. Tuttavia, tornando ad Atripalda, qualcosa è ancora possibile fare; occorre qualcuno che individui le opportunità di finanziamento pubblico e persegua la via migliore per ottenere fondi; si potrebbe anche ricorrere al project financing, con interventi misti tra il pubblico e il privato. Però, serve disponibilità, tenacia e competenza, la stessa che nel passato avrebbe impedito la costruzione di palestre senza spazio per il pubblico o, come nel caso della Palestra della Scuola Masi, una palestra senza spazio per le panchine e con una tribuna dalla quale è impossibile vedere cosa si svolge sul rettangolo di gioco, oppure, al Valleverde, un terrazzo balconato sul campo di calcetto e relativi spogliatoi con le vetrate che ricordano Amsterdam e il suo quartiere a luci rosse.
Sente la vicinanza del territorio rispetto alla sua attività?
Al momento il territorio non lo sentiamo molto vicino. Io penso che il calcio atripaldese venga da troppi anni di delusioni e che queste abbiano allontanato gli sportivi. Questi vanno riconquistati con i risultati e sono fiducioso. Con risultati all’altezza della grande tradizione atripaldese e con uno stadio efficiente penso che la gente ritornerà al Valleverde. Ritornando la gente, sarà anche più facile trovare uno sponsor o imprenditori disposti ad intervenire o a occupare spazi pubblicitari. Per il momento di sostegni ne abbiamo trovati pochi. Abbiamo stampato le tessere per i sostenitori e avviato un progetto “fidelity” che finora ha prodotti risultati scarsissimi. Recentemente, in una partita casalinga, abbiamo messo una scatola/salvadanaio invitando quelli che entravano per vedere la partita a mettere un contributo, in forma anonima. Al termine della gara ho contato i fondi ricevuti e ho trovato la incredibile cifra di euro 1,45; sì, un euro e 45 centesimi. Ma andiamo avanti lo stesso.
Quali sono le sue aspettative sportive per questa stagione?
Le aspettative per questa stagione agonistica sono tante; innanzitutto vogliamo posizionarci nelle alte sfere della classifica con la squadra di Prima Categoria; attualmente siamo in quinta posizione e ci siamo qualificati per il terzo turno in Coppa Campania; abbiamo costruito un organico quadrato che ci darà soddisfazione, affidato ad un tecnico giovane ma motivato e competente come pochi, l’amico Gianluca Della Rocca che ha sposato il nostro progetto volto a riportare Atripalda nel calcio che conta. Se possibile, vorremmo centrare l’obiettivo dei play off, ma sicuramente non vivremo le difficoltà dello scorso campionato. Abbiamo poi cominciato a costruire un efficiente settore giovanile: abbiamo la squadra Juniores, composta per metà anche da giocatori della categoria Allievi, quindi più piccoli, che si sta ben comportando nel campionato di categoria; poi, senza alcuna fretta e soprattutto lavorando sugli obiettivi più generali di cui parlavo prima, puntiamo a far crescere i nostri bambini delle categorie Giovanissimi, Pulcini e Primi calci. Però, al di là dei risultati agonistici, l’aspettativa più grande è riposta nel consolidamento della struttura societaria; vorremmo allargare il quadro dei dirigenti perché senza quello è impossibile il salto di qualità. Oggi non esistono mecenati né gente con disponibilità illimitate, e coloro che attualmente portano avanti il progetto Abellinum non rientrano in queste categorie.
Vuole aggiungere qualcosa?
Un fatto di cronaca avvenuto in città, ossia il fermo di una persona trovata in possesso di sostanze stupefacenti, non ha nulla a che vedere con la nostra Associazione che è invece proiettata verso l’educazione a stili di vita salutari. Il Valleverde non può certamente passare come una piazza di consumo e spaccio di droga. Abbiamo più persone che, volontariamente e saltuariamente, danno una; tra questi, inutile negarlo, c’era anche la persona fermata, ma una cosa sono gli stili di vita personali e un’altra i comportamenti che hanno riflessi sugli altri. Io, pertanto, rivendico per il Valleverde quello che esso realmente è: una piazza di sport, di sano confronto agonistico, di crescita; un luogo dove ci si diverte e si sta in tutta sicurezza. Un luogo presidiato da persone che nella vita hanno sempre tenuto un comportamento improntato al bene e alla legalità, volto alla collettività e alla crescita di una comunità virtuosa e solidale.
Ciro De Pasquale