«Ecco perché abbiamo tenuto le scuole chiuse»


Il sindaco Spagnuolo spiega la decisione della mancata riattivazione della didattica in presenza all’asilo e alla prima classe della primaria: Coniugare diritti fondamentali come quello alla salute e quello allo studio in piena emergenza sanitaria non è semplice, ma l’osservazione della realtà ci suggerisce di avere grande prudenza

Il sindaco Giuseppe Spagnuolo ha prolungato fino a lunedì prossimo, 7 dicembre, la sospensione delle attività didattiche in presenza all’asilo e alla prima classe della primaria, estendendo la decisione assunta la scorsa settimana, quando il governatore Vincenzo De Luca diede facoltà ai sindaci di decidere tenendo conto della diffusione del contagio nella propria città. In questa intervista le valutazioni che hanno orientato la scelta del primo cittadino di Atripalda.

Sindaco, cosa vi ha convinto a tenere le scuole ancora chiuse?

Coniugare in piena emergenza sanitaria due diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti come quello alla salute e quello allo studio non è semplice. E non esiste, a mio parere, una scelta giusta e una scelta sbagliata, ma solo valutazioni corrette e consapevoli. Finora questo tipo di valutazioni sono state fatte dal Governo e dalla Regione, a volte alternativamente, a volte simultaneamente, fino a dieci giorni fa, quando il governatore, un po’ a sorpresa rispetto alle anticipazioni che egli stesso aveva dato, quando aveva condivisibilmente garantito che in assenza di risultati confortanti dello screening epidemiologico in atto sul personale scolastico e sulle famiglie non avrebbe consentito la ripresa delle lezioni in presenza, ha offerto ai sindaci la facoltà di scegliere autonomamente. E, quindi, prima di scegliere ci siamo posti una domanda: quali elementi abbiamo che conforterebbero la decisione di riaprire le scuole?

E qual è stata la risposta che vi siete dati?

Ad Atripalda si registrano oltre duecento persone contagiate dal nuovo coronavirus, un dato enorme rispetto ai due soli casi riscontrati nella prima ondata della scorsa primavera, durante la quale, peraltro, la scuola è rimasta praticamente sempre chiusa. Già questo raffronto sarebbe bastato a consigliare grande prudenza. Ma non ci siamo fermati qui. La Regione aveva subordinato la decisione sulla riapertura ai risultati dello screening volontario sulla popolazione scolastica che, però, è stato effettuato su un campione tutt’altro che rappresentativo e, quindi, non ha offerto alcuna indicazione significativa, né tantomeno sappiamo qual è stata la partecipazione della popolazione scolastica di Atripalda proprio perché trattandosi di una indagine di tipo volontario non risulta facilmente tracciabile. Abbiamo anche chiesto informazioni in tal senso sia all’Asl che alla dirigenza scolastica, ma non abbiamo fatto passi in avanti.

A suo parere quali erano le aspettative delle famiglie?

Senza sapere qual era il grado di adesione allo screening non siamo stati in grado di avere un’indicazione sulla reale aspettativa di ripresa delle lezioni in presenza. La mia impressione è che le famiglie contrarie alla riapertura delle scuole si siano fatte “sentire” molto di più di quelle che avevano un orientamento opposto o che, più semplicemente, si affidano a chi è chiamato a decidere. Dal mio punto di vista, cioè, la maggioranza delle famiglie è consapevole delle difficoltà ed è disponibile a sacrificarsi ancora un po’, soprattutto ora che la sperimentazione sui vaccini sembra alle battute finali e si fanno le prime realistiche previsioni sull’avvio della somministrazione. Come ho già evidenziato, entrambe le posizioni sono condivisibili e trovare un modo per renderle anche conciliabili non è facile evitando il rischio di assembramenti e offrendo, al contempo, agli alunni l’opportunità di frequentare fisicamente la scuola.

Qual è il grado di sicurezza nelle nostre scuole?

Le nostre scuole, nelle tre settimane in cui sono state aperte, si sono dimostrate luoghi assolutamente sicuri rispetto al rischio di contagio perché se è vero che quando è emerso un caso di positività in una classe della “Masi” nel giro di pochi giorni i casi sono diventati sei, è altrettanto vero che è rimasto circoscritto a quella classe perché dall’indagine epidemiologica condotta sulle altre classi tutti gli alunni sottoposti a tampone non sono emersi altri casi. Ciò significa che se in una classe c’è un alunno positivo il rischio che possa infettare i suoi compagni di classe è alto perché evidentemente condividere un’aula scolastica per quattro-cinque ore favorisce la trasmissione del virus, mentre il rischio che possa diffondersi in tutta la scuola è piuttosto basso perché, evidentemente, non si creano occasioni di contatto fuori dall’aula. Ed è confortante anche la relazione, pubblicata nei giorni scorsi sul sito della scuola, con cui la dirigente ha certificato che le condizioni di ammissibilità nei plessi cittadini risultino pienamente soddisfatte e che i casi di isolamento fiduciario fra il corpo docente e non docente sia ristretto a sole tre unità. Ciò significa che se e quando dovessimo eventualmente decidere di riattivare le lezioni in presenza potremmo farlo con maggiore tranquillità, ma senza trascurare che la scuola, in quanto tale, resta comunque un ambiente con un alto potenziale di trasmissione del contagio e che non abbiamo elementi di valutazione sui rischi derivanti dalla eventuale riattivazione dei servizi comunali di mensa e trasporto.

Al tirar delle somme, quali sono gli elementi che concorrono alla formazione della decisione?

Intanto è necessario raccogliere elementi per costruire uno scenario di lungo periodo, almeno settimanale, altrimenti non avrebbe senso riaprire le scuole per poi richiuderle dopo pochi giorni, partendo dal verificare la diffusione del contagio con la sperenza di registrare una controtendenza del fenomeno rispetto ai giorni scorsi perché se, nel frattempo, i positivi continuano ad aumentare non sarebbe molto saggio riaprire le scuole. Inoltre, per quanto relativa, andrà confermata la sostanziale assenza di infezione nel personale scolastico e nelle famiglie riscontrata dall’indagine epidemiologica volontaria in atto. Ed, infine, sarà opportuno confrontarsi anche con i medici di base per conoscere, quantomeno informalmente, il loro parere. Soltando dopo sarà possibile assumere consapevolmente una decisione, qualunque essa sia.



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