“Non possiamo creare osservatori dicendo ai bambini: “Osservate!”, ma dando loro il potere e i mezzi per tale osservazione, e questi mezzi vengono acquistati attraverso l’educazione dei sensi” (Maria Montessori)
Alida e la sua amica Ginevra contemplavano il panorama immerse in un profondo silenzio, sedute sul muretto che costeggiava la casa di Alida in cima alla collina, circondata da un’immensa pianura verde. L’orizzonte era invaso da alberi, per lo più ulivi, quel terreno argilloso e all’apparenza inospitale, lasciava spazio ad un’infinità di vigneti, solo vino buono si produceva in quelle lande, vino doc riconosciuto a livello internazionale, orgoglio per tutto il paese.
Il silenzio che avvolgeva l’aria nella calura estiva di un pomeriggio assolato era rotto soltanto da qualche alito benevolo di vento, da uno stridio di cicale come sottofondo musicale e dal lontano abbaiare di un cane randagio.
Alida viveva lì, da quando era nata, il paese era pressocché disabitato nel resto dell’anno, solo le ferie d’agosto riportavano i suoi emigranti alle terre natìe per ritrovare gli amici e i parenti rimasti, ecco che allora poteva capitare di vedere un po’ di gente sparsa nei campi, come esploratori alla ricerca dell’infanzia perduta.
Ginevra era una di quei migranti, trasferitasi altrove nella sua adolescenza quando la sua famiglia aveva deciso di tagliare il cordone ombelicale che ancora li teneva legati al paese natìo e che li aveva condotti a vivere in una grande città, in mezzo al traffico caotico delle auto, al cemento che non lasciava respiro, ai marciapiedi spesso inospitali e alle strade asfaltate e piene di buche. Il trasferimento non aveva portato il beneficio sperato, ma era così, il lavoro li aveva condotti lontano ed ora non le restava che la malinconia del rimpianto.
Ogni estate, Alida invitava l’amica della sua infanzia con la quale aveva condiviso gli anni più felici, a trascorrere con lei la vacanza, quando tutti sceglievano di andare lontano, al mare o altrove, le due amiche si ritrovavano a ripercorrere le loro antiche strade.
Avevano frequentato la scuola elementare, l’unica nel paese, insieme a bambini di ogni età, non esistevano tante differenze, i bambini erano bambini, e per necessità e con piacere andavano tutti insieme a scuola. Quella scuola fatta di mattoni dove non c’era il riscaldamento, che era un lusso per tutte le case del paese, era la fine degli anni Sessanta e la mattina ogni bambino portava a scuola in un secchiello di latta, un po’ di brace tolta dal forno in cui si cuoceva il pane e contribuiva al riscaldamento collettivo.
Non c’era il bagno, d’altro canto anche le abitazioni ne erano sprovviste, nella migliore delle ipotesi avevano uno stanzino costruito apposta sempre all’esterno delle case, e i bambini per i lori bisogni uscivano tranquillamente all’aperto. C’erano tanti alberi nelle vicinanze, e nessuno si spaventava facilmente, la maestra era tranquilla, e così i bambini.
L’ora della merenda era fantastica, le due bambine che abitavano a poche centinaia di metri dalla scuola, da sole tornavano a casa per prendere il pane che le mamme le avevano confezionato: pane e formaggio, pane e pomodoro, pane con lo zucchero. Poi tutti in cerchio si sedevano sotto a qualche albero, nelle giornate primaverili per ripararsi dal sole già cocente, oppure, in inverno sedevano sui gradini delle casupole o sui muretti a secco circostanti, solo la pioggia li costringeva a restare chiusi tra le quattro mura. Nessuno si preoccupava del freddo, i bambini erano temprati alla nascita, la loro fibra era resistente, non si ammalavano tanto facilmente, e nessun genitore s’intrometteva se le punizioni erano severe, la maestra aveva sempre ragione.
Dopo aver consumato velocemente il loro pane quotidiano i bambini giocavano a rincorrersi scalzi, abbandonando le scarpe che pochi potevano permettersi, si arrampicavano velocemente sugli alberi, poi raccoglievano erbe e fiori selvatici da regalare con orgoglio alla maestra.
Gli alunni imparavano molto di più all’aperto che nelle ore di lezione al chiuso. Il contatto con l’ambiente naturale era garantito perché l’ambiente naturale coincideva con l’ambiente di vita, l’ambiente ricco e aperto forniva sempre lo sviluppo della loro creatività.
Si viveva una scuola diversa nel paese, nessun bambino di città avrebbe mai potuto immaginare la libertà dei loro coetanei. La maestra era semplice, assomigliava alle mamme di ognuno, vestiva senza troppi fronzoli, badava molto però all’ordine dei suoi capelli, rigorosamente tenuti da uno chignon, e trattava i suoi alunni proprio come se fossero stati tutti suoi figli, elargendo carezze, parole gentili e schiaffi quando ce n’era bisogno.
I compiti si svolgevano solo a scuola, la maestra sapeva bene che molti dei genitori erano semianalfabeti e sopratutto avevano poco tempo così indaffarati per i lavori nei campi. Ogni bambino in compenso aveva il compito di leggere un libro ogni mese, preso in prestito dalla biblioteca “artigianale” della scuola, composta quasi tutta da volumi regalati dalla maestra stessa e dai pochi abitanti del paese che ne erano provvisti.
I bambini una volta ritornati a casa trovavano i nonni ad attenderli, mentre i genitori consumavano il pasto nei campi, così mangiavano avidamente il piatto di minestra in compagnia dei racconti dei nonni, che non si stancavamo mai di ascoltare.
Alida e Ginevra trascorsero quei pochi giorni di vacanza tenendosi per mano, proprio come quando erano bambine, i giorni felici e spensierati volavano in fretta, era successo di nuovo, l’infanzia ritrovata doveva far posto alla necessità, era giunto il tempo di salutarsi .
Una lacrima bagnò il viso delle due donne, Alida aveva trovato il coraggio di restare sulle pietre dure della sua campagna e aveva continuato a coltivare la terra dei suoi nonni, Ginevra aveva cercato altrove la sua strada, ma ogni estate quando si ritrovavano riuscivano a vivere l’incanto dei loro anni più belli, un’amicizia destinata a rimanere inalterata nel tempo, una memoria di classe.
Cinzia Spiniello