Il Partito democratico fa la prima mossa e lancia chiari messaggi agli alleati Popolari, per il presente e per il futuro. Il sindaco non sembra interessato a ricandidarsi e la sua successione rischia di spaccare definitivamente una maggioranza già uscita a pezzi dalle Regionali
Il Partito democratico ha formalizzato la costituzione del gruppo consiliare indicando nel ruolo di capogruppo il consigliere Salvatore Antonacci, già capogruppo dell’intera maggioranza fino a due anni fa, dimessosi dall’incarico il giorno dopo la presa d’atto che alle elezioni provinciali almeno sette colleghi di maggioranza su dodici non lo votarono.
Oggi, a poco meno di un anno e mezzo dalle prossime elezioni comunali previste per la primavera del 2022, la maggioranza consiliare si scolla ed il gruppo che nel parlamentino cittadino rappresentava il blocco monolitico della lista “Scegliamo Atripalda” che nel 2017 vinse le elezioni comunali si è sfaldato: da una parte i consiglieri iscritti al PD e dall’altra tutto il resto.
Salvatore Antonacci, Nancy Palladino e Costantino Pesca, all’indomani delle elezioni regionali del 20 settembre scorso, dunque, hanno deciso di differenziarsi dai colleghi di maggioranza e di sventolare la bandiera del Partito democratico in Consiglio comunale. Una iniziativa ancora non meglio spiegata, né in Consiglio, né fuori, perfezionata in due distinte sedute consiliari, con una procedura anche alquanto originale e bizzarra. Il primo passaggio è avvenuto il 9 novembre scorso, quando, non senza imbarazzo, fu costretto addirittura il sindaco Spagnuolo a leggere la nota firmata dai tre consiglieri del PD con cui comunicavano “che la costituzione del gruppo nasce dall’esigenza di dare un contributo fattivo al rilancio dell’azione politica e amministrativa per la città, confermando piena fiducia nell’operato del sindaco Giuseppe Spagnuolo ed un impegno leale nel contesto del progetto politico-amministrativo di “Scegliamo Atripalda”, per aprire una nuova fase di dialogo e confronto, potenziando e rafforzando il rapporto con i cittadini, con le realtà associative, economiche e produttive della città e con le altre forze politiche”. Poi sono state necessarie tre settimane per attendere l’indicazione del capogruppo, avvenuta in avvio dei lavori della seduta di Consiglio comunale di lunedì scorso (successivamente aggiornata a lunedì prossimo) quando il consigliere Costantino Pesca ha comunicato all’aula che il capogruppo sarebbe stato Salvatore Antonacci.
Nessuna reazione è arrivata in entrambe le circostanze, né dai banchi della maggioranza e né, stranamente, da quelli della minoranza, come se il primo vero passaggio di natura politica dopo anni di silenzio fosse del tutto privo di significato o addirittura scontato. Ed, invece, non sembra proprio così e, magari, un dibattito consiliare avrebbe potuto far emergere le vere motivazioni alla base della scissione, ma evidentemente non conveniva a nessuno.
La domanda, perciò, è ancora senza risposta: perché i consiglieri iscritti al PD, dopo tre anni e mezzo di convivenza apparentemente pacifica, avvertono l’esigenza di rimarcare improvvisamente la propria appartenenza politica senza che nel frattempo nulla sia accaduto? O, invece, qualcosa è accaduto? E cosa? Il PD, da quando nel maggio 2016 si è dimesso l’ultimo segretario cittadino (Gerardo Malavena), non è stato più in grado di riorganizzarsi aprendo un circolo o eleggendo un organismo dirigente, né di esprimere strategie o sensibilità politiche, ma solo orchestrare tesseramenti e reunion alla bisogna. In tempi neanche tanto lontani un passaggio politico come quello che si sta consumando in questo periodo non sarebbe passato così liscio, ma avrebbe provocato quantomeno quella che si definiva “verifica politico-programmatica” e che quasi sempre sfociava in un “patto di fine consiliatura”.
Dunque, escludendo che la sterzata sia stata dettata da organismi dirigenti o da nuove linee politiche, cosa è veramente successo al punto da sconfessare quello che alla vigilia delle elezioni del 2017 venne presentato come un accordo civico fra persone e non fra partiti? E che ne è stato del patto di fiducia che Giuseppe Spagnuolo strinse con ognuno dei suoi candidati? E quali saranno le conseguenze? Si aprirà una verifica? Ci saranno rivendicazioni? In altre parole, siamo di fronte ad una crisi, anche se latente, che prima o poi provocherà una frattura ben più vistosa? E se non ci fosse il Covid a togliere il sonno avremmo già registrato la richiesta di rimpasto in giunta dove, politicamente parlando, la componente che si richiama ai Popolari di De Mita, formata dal sindaco, dal suo vice e da almeno uno, se non due, assessori, è dominante rispetto a quella del PD che può contare solo sull’assessore Palladino? Uno sbilanciamento reso ancora più intollerabile politicamente dalla recente adesione, in chiave elettorale, del vicesindaco Nazzaro alla componente demitiana, che ha stravolto i già precari equilibri. Senza contare che l’assessore Palladino ha recentemente perso la presidenza del Consorzio dei servizi sociali A5 anche perché evidentemente né il sindaco e né i Popolari sono stati in grado di garantirle l’appoggio politico necessario alla riconferma.
Il patto civico che nel 2017 diede vita alla lista “Scegliamo Atripalda”, quindi, è saltato ed, eventualmente, nel caso in cui la maggioranza volesse ripresentarsi compatta alle prossime elezioni andrà rinnovato. E non potrà più essere fatto, quindi, tra singoli come avvenne tre anni e mezzo fa, ma tra forze politiche visto che il Partito democratico, costituendo il gruppo consiliare, rivendica adesso autonomia e identità da esercitare sia nel presente che nel futuro, soprattutto se – e questa è la preoccupazione del PD – il futuro non dovesse contemplare la ricandidatura a sindaco di Giuseppe Spagnuolo. Il messaggio del PD malcelato dalla costituzione del gruppo consiliare, allora, appare più chiaro: se si ripartirà da Giuseppe Spagnuolo e senza patti civici, ma con accordi politici chiari e precisi, è lecito supporre che alle prossime elezioni possa riproporsi la lista “Scegliamo Atripalda”, altrimenti ognuno per la sua strada. Nonostante tutto, infatti, Giuseppe Spagnuolo, le cui qualità amministrative non vengono, almeno apertamente, discusse, è considerato l’unico che può eventualmente rappresentare la sintesi della maggioranza anche se, in almeno in due passaggi elettorali (Provinciali del 2018 e Regionali del 2020), la sua centralità amministrativa è stata sacrificata sull’altare dell’appartenenza politica. Due anni fa lasciò che i consiglieri della sua maggioranza, a cominciare da egli stesso, sprecassero il proprio voto non facendo quadrato intorno alla candidatura di Antonacci alla Provincia, bastonando e mortificando il suo capogruppo e privando la città, probabilmente, di una rappresentanza a Palazzo Caracciolo; due mesi fa, invece, si è esposto in prima persona ed in più di una occasione nel sostenere la candidatura alla Regione della sua vice Nazzaro, nel frattempo confluita proprio nei Popolari, sapendo bene che ne avrebbe pagato il prezzo perché le avvisaglie c’erano già state a febbraio, quando i consiglieri Palladino e Pesca disertarono una seduta di Consiglio comunale per lanciare un segnale di disappunto rispetto all’eventualità di una discesa in campo della Nazzaro che avrebbe finito, come è poi avvenuto, per minare la coesione della maggioranza.
Alternative a Giuseppe Spagnuolo? Se ci sono, ancora non si vedono, ma su questo aspetto ci soffermeremo la prossima volta.