Perché la crisi demografica farà calare il Pil italiano. Ecco i dati che non promettono nulla di buono per il nostro Paese
La crisi demografica in Italia è un tema di crescente preoccupazione, non solo per le implicazioni sociali, ma anche per il suo impatto significativo sull’economia. Recentemente, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha lanciato un allarme durante il suo intervento al videomessaggio degli “Stati generali della natalità”, evidenziando che l’andamento attuale delle nascite potrebbe portare a una riduzione del Pil italiano fino al 20% nei prossimi venti anni. Questo articolo cerca di esplorare le dinamiche dietro questa affermazione e le conseguenze che la crisi demografica avrà sull’economia del Paese.
Per comprendere il problema, è fondamentale analizzare il legame tra demografia ed economia. Il prodotto interno lordo (Pil) di un paese è influenzato da vari fattori, tra cui la forza lavoro. In Italia, la diminuzione della natalità e l’invecchiamento della popolazione si traducono in una forza lavoro in contrazione. Secondo le stime dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), nel 2050 quasi il 35% della popolazione avrà più di 65 anni. Questo significa che oltre un italiano su tre non sarà più in grado di partecipare attivamente al mercato del lavoro, un dato allarmante che mette in discussione la sostenibilità del sistema economico e previdenziale.
In un contesto in cui il tasso di natalità è in costante calo, gli esperti stimano che la popolazione in età lavorativa, cioè quella compresa tra i 15 e i 64 anni, potrebbe ridursi notevolmente. Attualmente, circa 38 milioni di italiani sono in questa fascia d’età, ma si prevede che questo numero possa scendere a poco più di 29 milioni entro il 2050, segnando una riduzione di oltre il 24%. Se consideriamo anche il tasso di partecipazione al lavoro e quello di occupazione, la diminuzione dei lavoratori avrà un effetto diretto sul Pil.
L’impatto sul Pil
Un’analisi semplificata del fenomeno ci aiuta a capire meglio. Se ipotizziamo che la produttività del lavoro rimanga costante, e che il numero di occupati scenda in proporzione alla diminuzione della popolazione in età lavorativa, il Pil potrebbe ridursi di circa il 31% tra il 2020 e il 2050. Sebbene questa sia un’ipotesi molto semplificata, essa illustra chiaramente l’importanza del calo demografico nella determinazione della salute economica del Paese.
Inoltre, il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ha fatto riferimento a dati preoccupanti, affermando che il Pil italiano potrebbe subire una contrazione del 33% entro il 2070, considerando le attuali tendenze demografiche e un’immigrazione netta annua di circa 130.000 unità. Senza un adeguato flusso migratorio e senza politiche attive per sostenere la natalità, l’Italia si troverà di fronte a una sfida economica senza precedenti.
Un altro aspetto da considerare è il debito pubblico. Nel Documento di economia e finanza (Def) recente, il governo ha presentato uno scenario in cui il rapporto tra debito pubblico e Pil è influenzato dall’andamento dell’immigrazione netta. Un incremento dell’immigrazione potrebbe contribuire a una maggiore crescita del Pil, riducendo proporzionalmente il debito pubblico. I lavoratori immigrati, infatti, non solo aumenterebbero il numero di contribuenti, ma porterebbero anche diversificazione e innovazione nel mercato del lavoro, elementi essenziali per rilanciare l’economia.
Tuttavia, l’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro è cruciale. L’efficacia di tali politiche dipende dalla capacità di garantire che i nuovi arrivati si integrino e contribuiscano attivamente all’economia. Un’alta percentuale di disoccupazione tra i giovani e le donne in Italia indica che ci sono ampi margini di miglioramento. Incrementare la partecipazione al lavoro di queste categorie potrebbe alleviare in parte le conseguenze della crisi demografica.