Intervento di Concetta Tomasetti nel 37° anniversario del terremoto: «Dobbiamo imparare a considerare i grandi rischi come un evento inevitabile e prepararci ad affrontarlo»
Oggi, giovedì 23 novembre 2017, ricorre il 37° anniversario del terremoto dell’Irpinia. Una data che è rimasta impressa nelle menti di chi ha vissuto quella tragica giornata e che ha segnato fortemente il nostro territorio. Quasi tremila morti, trecentomila senza tetto, una ricostruzione disastrosa. L’entità drammatica del sisma non venne valutata subito; i primi telegiornali parlarono di una «scossa di terremoto in Campania» dato che l’interruzione totale delle telecomunicazioni aveva impedito di lanciare l’allarme. Infatti il sisma del 1980 fu causato da tre terremoti di magnitudo compresa fra 6.4 e 6.6 gradi, per un totale pari a 6.9, verificati nell’arco di 40 secondi nella stessa zona. Soltanto a notte inoltrata si cominciò a evidenziarne la più vasta entità. Da una prospezione effettuata nella mattinata del 24 novembre tramite un elicottero vennero rilevate le reali dimensioni del disastro.
Uno dopo l’altro si aggiungevano i nomi dei comuni colpiti; interi nuclei urbani risultavano cancellati, decine e decine di altri erano stati duramente danneggiati. Gli effetti, tuttavia, si estesero ad una zona molto più vasta interessando praticamente tutta l’area centro meridionale della penisola: otto aree interessate globalmente dal sisma (Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia.
Una ferita che non si è mai rimarginata lungo anni dolorosi e difficili, nei quali le popolazioni hanno vissuto il dramma di una ricostruzione lenta e tortuosa, che ha stravolto il volto di interi paesi, modificandone irreversibilmente il patrimonio civile e culturale, con la scomparsa di monumenti, edifici civici, chiese e piazze, ovvero i luoghi dell’identità e della memoria. Sciattezza e incapacità soprattutto nel governare la successiva e delicata fase per il ritorno alla normalità: le lungaggini della cosiddetta “ricostruzione”, le troppe zone d’ombra nell’azione della macchina pubblica, il confine tra la legalità e l’illegalità sempre più sottile e quasi impercettibile hanno ammazzato, pur essendo ancora in vita, l’esistenza di tutte quelle persone che non erano finite sepolte dalle macerie.
Donne, uomini e bambini costretti a sopravvivere per decenni in abitazioni provvisorie divenute permanenti. Per molti di loro veri e propri containers della vergogna che inesorabilmente si sono trasformati nell’unico tetto possibile. Per troppo tempo.
Ad ogni anniversario ci accorgiamo che la cultura della prevenzione è l’obiettivo primario da perseguire sempre. Dobbiamo imparare a considerare il rischio, i grandi rischi, come un elemento inevitabile delle nostre città, a sentirci coinvolti come cittadini nella gestione del rischio, a partecipare alla costruzione dei piani, ed a chiedere ai nostri sindaci come intendono prepararci ad un possibile evento. Dobbiamo tornare, anche in questo campo, a vivere come parte di un ecosistema naturale più vasto e più imprevedibile di quello che abbiamo supposto negli ultimi cinquant’anni.
Concetta Tomasetti