Emilia Lepore si è spenta sabato 8 dicembre, il fratello Antonio la ricorda così
Potrei scriverti da cattolico credente e dirti che finalmente hai scavalcato le nuvole per ricongiungerti a Dio. Oppure da giornalista, osservare come sempre più giovani muoiano per mano di questi mali bastardi mentre quelli che comandano dicono “va tutto bene, è soltanto una casualità”. Il cuore, invece, mi suggerisce di dedicarti queste inutili parole con gli occhi di un fratello a cui è stata strappata una sorella di 30 anni.
Ma fermi tutti. Sto delirando. Tu mi manchi come essere umano. Ed è una mancanza che respira l’assenza di gesti piccoli a cui tu donavi un’importanza assoluta. Come quando andammo a Vietri, stampelle adagiate sugli scogli e tu commossa a guardare tutto quel blu che se avessi potuto avresti portato con te ovunque. La tua anima possedeva questa qualità che io ti ho sempre invidiato: apprezzare lentamente e fino in fondo ogni attimo di amore.
Quante volte ti avvicinavi e sussurravi: “Vai piano, rallenta, fermati ogni tanto a gustare il panorama”. Sapevi qualcosa sull’arte di accontentarsi che a noi semplici esseri umani sfugge ancora. E perdonavi. Quante volte abbiamo discusso perché tu perdonavi ed io ti accusavo di essere troppo buona. Pensa te che fesso, insultare una persona perché troppo buona. Avevi ragione, a volte sono proprio stupido.
Ma io ora, prima di continuare questa sconclusionata lettera, ti vorrei chiedere un favore: metti una buona parola per far vincere un altro scudetto all’Inter. Ti ho fatto ridere? Ti prego, dimmi di sì, fammi un sorriso larghissimo come solo tu sapevi fare. Un sorriso che accoglieva tutti, senza rancori né cose stupide di noi esseri umani. Io mi sdraiavo spesso in questo sorriso ed il mio cuore per un infinitamente breve attimo faceva pace con il tempo e la vita.
Quanto hai lottato, Emilia. A volte vincevi, altre volte il bastardo ti mandava al tappeto. E tu tipo Rocky subito ad allenarti per vincere le altre sfide. Fino all’ultimo istante, con la tua mano nella mia, hai sussurrato: “Non so come, ma mi riprenderò”. Ed invece ci hai fatto proprio un bel dispetto. Abbandonarci all’improvviso senza un dannato libretto d’istruzione da seguire per rimontare le nostre anime spezzate e cercare almeno di convivere con questo straziante dolore che non accetteremo mai. Però si sa, è così. Appena venuti al mondo accettiamo un patto non si sa bene con chi: provare a vivere al meglio che poi la giostra ad un certo punto si ferma e tu non avrai i soldi per acquistare un altro biglietto.
Ti sarebbe piaciuta questa lettera senza un filo logico. Io invece la schifo perché non avrei mai voluto ricordarti. Ma viverti. In un mondo dedito all’esagerazione, tu per me rappresentavi l’equilibrio, l’eleganza, l’onestà. Non quella urlata, bensì quella praticata. Potrei scrivere altre mille cose, e forse potrei far commuovere ancora di più chi leggerà queste parole. Ma ragazzi, mi tocca andare a vivere come avrebbe voluto mia sorella e come ha provato a fare lei in ogni singolo giorno, lei che era un raro esempio di amore. Ti sento qui, accanto a me.