Ognissanti e Defunti, le feste della gloria eterna


Concetta Tomasetti spiega il significato delle giornate che stiamo celebrando

SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI

La festa di tutti i Santi il 1° novembre si diffuse nell’Europa latina nei secoli VIII-IX. Poi si iniziò a celebrarla anche a Roma, fin dal secolo IX. Un’unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente sulla terra. E’ una festa di speranza: “l’assemblea festosa dei nostri fratelli” rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, a cui tutti siamo chiamati!

Qual è il significato di questa festa?

Festeggiare tutti i santi è guardare coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna. Quelli che hanno voluto vivere della loro grazia di figli adottivi, che hanno lasciato che la misericordia del Padre vivificasse ogni istante della loro vita, ogni fibra del loro cuore. I santi contemplano il volto di Dio e gioiscono nella pienezza di questa visione. Sono i fratelli maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché, peccatori come ognuno di noi, hanno accettato di lasciarsi incontrare da Gesù, attraverso i loro desideri, le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze. Questa beatitudine che concede loro di condividere in questo momento la vita stessa della Santa Trinità è un frutto di sovrabbondanza, acquistato dal sangue di Cristo. Nonostante le notti, attraverso le purificazioni costanti che l’amore esige per essere vero amore, e a volte al di là di ogni speranza umana, tutti hanno voluto lasciarsi bruciare dall’amore e scomparire affinché Gesù fosse progressivamente tutto in loro. È Maria, la Regina di tutti i Santi, che li ha instancabilmente riportati a questa via di povertà: è al suo seguito che essi hanno imparato a ricevere tutto come un dono gratuito del Figlio; è con lei che essi vivono attualmente, nascosti nel segreto del Padre.

LA COMMEMORAZIONE DI TUTTI I DEFUNTI

La santità non è una connotazione morale, ma il frutto della grazia di Dio nella persona umana e nella Chiesa. Ma se i santi sono modelli e maestri di vita cristiani, non va dimenticato che anche i morti lo sono. Che senso avrebbe andare al cimitero per visitare le tombe dei nostri defunti, se non credessimo nella Risurrezione e se non coltivassimo la fede nella risurrezione nostra ed dei nostri cari, che ci hanno preceduto nella vita e nella fede? Don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, in provincia di Cremona, diceva che il cimitero può essere «la prima chiesa del villaggio, cioè una scuola, una casa di giustizia e una casa di riparazione. Se anche tacessero le campane sul campanile, se la chiesa domani non fosse più e il prete non potesse più parlare, finché rimarrà il cimitero in un paese, Dio avrà il suo profeta e la religione i suoi preti. Perché i morti sono i profeti e gli angeli di Dio, i quali gridano a noi: fratelli la vita non è qui, ma lassù». Rechiamoci dunque al cimitero non per commemorare i defunti come ombre, ma come persone che trovandosi al cospetto di Dio ci possono fare capire la sua parola d’amore, di Padre che tutti accoglie.

Concetta Tomasetti



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