
Processo a Palmi: sei condanne per violenze sessuali su minori, un caso sordido che ha scosso la comunità - Ilsabato.com
Un caso di violenzesessuali di gruppo su due ragazzine, perpetrato da un gruppo di giovani legati a contesti di rilievo nella criminalità organizzata, ha portato a sei condanne e sette assoluzioni. La vicenda, che ha attirato l’attenzione mediatica, ha visto il suo epilogo nel tribunale di Palmi, in provincia di Reggio Calabria. Qui, il giudice ha ascoltato la testimonianza delle vittime e ha analizzato un quadro preoccupante di abusi e ricatti, durati quasi due anni, dal gennaio 2022 al novembre 2023.
Dettagli del caso e profilo degli imputati
Le vittime, poco più che adolescenti, provengono rispettivamente da Seminara e Oppido Mamertina, territori frequentemente menzionati in relazione alla ‘ndrangheta. Gli imputati, un gruppo di ragazzi, molti dei quali erano minorenni all’epoca dei fatti, hanno esercitato pressioni e minacce su entrambe le ragazze, costringendole a subire abusi in varie occasioni. Le molestie non sono state solo fisiche ma sono state supportate da violenze psicologiche, che hanno avuto un impatto devastante sulle giovani adolescenti.
L’approccio degli aggressori è stato spietato: oltre a cavare utilità dagli atti di violenza, hanno ripreso alcuni degli eventi con i cellulari, sfruttando il materiale registrato come una forma di ricatto, diffondendolo in chat tra conoscenti. Questa modalità di intimidazione ha amplificato il senso di vulnerabilità delle ragazze, rendendo loro la vita impossibile e facendole sentire intrappolate in un incubo.
Indagini e operazione ‘Masnada’
La squadra investigativa, con un lavoro minuzioso e complesso, ha utilizzato intercettazioni telefoniche e ambientali per mettere a fuoco la rete di abusi. Grazie all’operazione ‘Masnada’, condotta dalla polizia insieme alla Procura di Palmi, sono stati eseguiti arresti significativi nel novembre 2023. Tre dei giovanissimi arrestati hanno nomi di rilievo nel contesto ‘ndranghetistico locale. Tuttavia, il collegamento con la criminalità organizzata non si limita ai soli arresti; ha influito pesantemente sull’atmosfera intimidatoria che hanno vissuto le vittime e sulle testimonianze raccolte.
Un quarto sospettato, parente di un amministratore locale, è stato dichiarato irreperibile, rendendo ancor più complicato il compito delle autorità nel far luce sull’intera faccenda. L’aspetto inquietante sta anche nella comprovata connessione tra il gruppo di aggressori e le famiglie associate a cosche mafiose, amplificando la portata della violenza e del potere esercitato su chi ha osato denunciare.
Le condanne e il supporto alle vittime
Al termine del dibattimento, sei imputati hanno ricevuto condanne che variano da cinque a tredici anni di reclusione. Il giudice ha anche stabilito che debbano rispondere economicamente per le spese processuali e ha previsto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Le condanne sono state accolte come un primo passo per fornire giustizia alle vittime che, nonostante le enormi pressioni, hanno scelto di costituirsi parte civile nel processo.
Le ragazze hanno avuto supporto non solo dalla loro famiglia, ma anche da diverse organizzazioni, tra cui il Centro antiviolenza per donne “Roberta Lanzino” di Cosenza. Il loro impegno nel proteggere le vittime ha avuto un ruolo cruciale, specialmente nel contesto socioculturale dove il timore delle ritorsioni è diffuso. È necessario che la società civile e le istituzioni continuino a garantire assistenza e protezione a chi si trova in situazioni di vulnerabilità, affrontando il tema della violenza di genere anche in ambienti segnati da comportamenti mafiosi.
La conclusione di questo processo segna un importante passo nella lotta contro la violenza domestica e contro le violenze sessuali, ma è evidente che la strada sia ancora lunga. La speranza rimane che questo caso possa sollevare una maggiore consapevolezza e impegno in un contesto sfortunatamente segnato da simili crimini.