Panorama

«Tanti supermercati non sono una minaccia, la crisi del commercio si supera restando uniti»

La proliferazione di grandi strutture di vendita ha fatto crescere la preoccupazione per la sorte di tante attività già messe a dura prova dal mercato. Tavola rotonda con esperti ed imprenditori per provare a capire quale potrebbe essere la soluzione più efficace per recuperare una forte vocazione

Da sx: Sabino Morano, Massimo Bimonte, Sergio Barile, Gerardo Iannaccone, Oreste La Stella e Antonio Prezioso

Presso il Bar Europa in via Aldo Moro, l’associazione metapolitica ‘Primavera Meridionale’ ha organizzato un forum dal titolo “Atripalda città del commercio tradizionale o dei supermercati?”. All’incontro hanno preso parte Massimo Bimonte, Antonio Prezioso, Oreste La Stella, Gerardo Iannaccone, Sergio Barile e Sabino Morano. Un’iniziativa, hanno spiegato gli organizzatori, che intende portare un proprio contributo, elaborato sulla scorta di studi ed esperienze, al dibattito pubblico atripaldese in un momento caratterizzato da grandi cambiamenti strutturali ed economici. Nelle ore immediatamente precedenti si è registrata, però, la protesta dell’Associazione commercianti di via Roma: “Letta la presenza dei partecipanti – riportava la nota -, ci si meraviglia che l’Associazione non è stata invitata ad essere presente visto che si parla di commercio. La cosa ci lascia non poco perplessi, anche perché essendo un’associazione regolarmente costituita, sempre presente alle iniziative comunali per l’organizzazione e collaborazione ad eventi e manifestazioni che vede coinvolto il commercio, spera che sia stata solo una “distrazione”, una “dimenticanza”, e che per il futuro ci sia un maggiore coinvolgimento della stessa quando ci saranno iniziative simili considerando le elezioni amministrative ormai alle porte… con l’augurio che i futuri candidati diano al tema del commercio la giusta rilevanza”.

Dopo i saluti e l’introduzione del moderatore Massimo Bimonte, a prendere la parola per primo è stato Antonio Prezioso, imprenditore ed ex assessore comunale: «Quello del commercio è un tema fondamentale per Atripalda. Le attività commerciali sono quelle che hanno sofferto di più il lockdown e la contrazione capacità di spesa delle famiglie. Poi con la fine dell’emergenza pandemica è iniziata quella bellica, i cui risvolti si sono subito manifestati con l’aumento delle materie prime, danneggiando famiglie e attività commerciali. Qualche saracinesca già si è abbassata definitivamente ed altre potrebbero fare la stessa fine. Atripalda negli ultimi anni ha visto mutare il suo tessuto commerciale, tant’è che oggi si discute del numero eccessivo di supermercati, diventati ormai 14 se non ho contato male, che hanno una ricaduta su tutte le attività visto che oggi nei supermercati si trova qualsiasi tipo di prodotto, dai pennelli ai dolci. Una riflessione, perciò, è necessaria, magari trovando il modo di tutelare le attività territoriali, attraverso anche un’efficace azione amministrativa, mettendo in campo, per esempio, una diversa politica tributaria. La politica, infatti, non dovrebbe pensare solo agli equilibri interni, ma anche ad evitare atteggiamenti che potrebbero avere una ricaduta devastante per le comunità. La tassa sui rifiuti, per esempio, potrebbe essere ridotta attraverso il funzionamento dell’Ato Rifiuti. Chi si candida deve tener presente questi aspetti. Negli ultimi tempi si è parlato poco di commercio, cogliamo l’occasione per riportarlo nel dibattito».

A seguire l’intervento di Gerardo Iannaccone, imprenditore ed ex presidente di AssoCia, l’associazione dei commercianti ed artigiani di Atripalda nata negli anni Duemila: «Nel 1998 anche io ero proprietario di tre supermercati, che fatturavano complessivamente circa 19 miliardi di lire all’anno, poi li ho ceduti, dopo essermi assicurato che nessuno dei 52 dipendenti perdesse il proprio posto di lavoro. La nuova gestione, però, fece crollare il fatturato perché non aveva una conduzione quasi familiare come la mia. Il mutamento dell’offerta commerciale di Atripalda è cominciato nel 2006 con la liberalizzazione delle licenze. Prima di allora è vero che le grosse strutture venivano aperte attraverso il meccanismo della concentrazione delle licenze, ma generalmente queste operazioni di accorpamento avevano costi piuttosto alti, rendendole estremamente rischiose. Oggi non è più così e abbiamo un’invasione di supermercati e non credo che fatturino molto, anche perché non esiste più l’acquisto d’impulso, l’utenza spende in maniera più ragionata e cerca soprattutto le offerte, per cui i margini sono ridottissimi. Inoltre, la gente oggi va sempre di fretta e passa sempre meno tempo al supermercato. Il futuro, perciò, non sono i supermercati, ma la specializzazione. Se il commercio alimentare resiste ancora un po’ sono convinto che molti supermercati, valutati costi e benefici, non dureranno a lungo. Ocean e Carrefour sono già in fase di uscita dal mercato italiano. Bisogna tenere duro e sperare. Dribblo le considerazioni su ciò che poteva fare l’Amministrazione comunale perché mia moglie è vicesindaco, ma di certo non poteva opporsi all’apertura dei supermercati. E poi magari le persone quando vanno al supermercato si fermano pure a comprare i fiori al negozio adiacente. Non soffermiamoci, però, solo sui supermercati. Quanti esercizi pubblici ci sono ad Atripalda che vendono caffè? Sono 55! Praticamente c’è un bar ogni 150 persone».

Molto atteso l’intervento del prof. Sergio Barile, Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese Facoltà di Economia all’Università di Roma “La Sapienza”: «Il mio messaggio non è pessimista. Gli abitanti di Atripalda sono 10-11mila, la spesa annua alimentare è di circa 2.500 euro a persona, cioè circa 25 milioni di euro all’anno, ma togliendo la quota che va fra pizzerie e ristoranti, abbiamo un totale di circa 10-12 milioni di euro che i cittadini di Atripalda spendono in questi supermercati ogni anno, mentre, viceversa, il fatturato complessivo di tutti i supermercati è di circa 50 milioni di euro annui, il che significa che c’è un flusso di clientela gravitante che arriva dai paesi limitrofi, che magari viene ad Atripalda, compra e se ne va perché i supermercati hanno formato una cortina. Ma se aggiungiamo un’altra considerazione, cioè che, così come accade nei centri commerciali, dove intorno al supermercato troviamo tanti negozi che beneficiano dell’utenza dei supermercati, si realizzasse un “centro commerciale naturale” che, sfruttando l’attrazione creata dai supermercati, proponga un’offerta specialistica tale da integrare la vocazione dei supermercati con la vocazione commerciale delle principali strade della città, ad esempio quella tessile di via Roma o quella gastronomica del centro storico, Atripalda diventerebbe di nuovo polo di attrazione, una caratteristica che già geograficamente le appartiene perché è una città di passaggio. Approfittiamone adesso che la gravitazione dei supermercati attrae clientela, sostenendo le attività attraverso un Piano commerciale che preveda incentivi e specificità, in collaborazione con la prossima amministrazione comunale, creando un’identità e magari attraverso il sistema del franchising attrarre anche i brand più importanti. Qualcuno nel suo piccolo già lo fa, ma occorre la forza dell’insieme e, quindi, di una forte associazione di commercianti».  «Bisognerebbe cambiare mentalità – gli ha fatto subito eco Iannaccone -, ad Atripalda non c’è lo spirito di cooperazione come, per esempio, al nord Italia. Personalmente ho già provato a fare questo discorso nel 2006 perché mi resi conto che la liberalizzazione avrebbe creato grosse difficoltà ai negozi di vicinato, ma mi ritrovai solo perché molti commercianti pensarono che avessi interessi personali, mentre io cercavo solo di spiegare che un’attività come la mia non chiude perché va avanti riducendo il personale, ma un’attività a conduzione familiare come può sopravvivere con un decremento dell’incasso del 40-50%? Se vogliamo che Atripalda torni davvero ad essere la città dei mercanti ognuno deve fare la sua parte. Abbiamo un potenziale potere d’acquisto pazzesco, se tutti i commercianti si rivolgessero alla stessa azienda per beni o servizi riuscirebbero senz’altro ad avere un prezzo inferiore». «Difficile mettere insieme tutte le teste – ha commentato amaramente Carmine Battista, titolare del bar Europa -. Non siamo riusciti a metterci d’accordo neanche per le luminarie natalizie».

Infine, giunto con un po’ di ritardo, l’intervento di Oreste La Stella, presidente del distretto regionale della Confcommercio Avellino: «Da anni il settore del commercio vive una crisi legata a vari fattori, a cui si sono aggiunti prima la pandemia e adesso la guerra, che stanno scombussolando il sistema economico nazionale, figuriamoci le realtà del sud Italia. Atripalda ha una tradizione commerciale pazzesca rispetto ad altri comuni. Il commercio atripaldese ha una marcia in più, con una visione diversa su come affrontare i cambiamenti, con un sistema commerciale più solido e di più ampie vedute. Per lavorare con il sistema dei centri commerciali naturali occorre cambiare passo e cooperare. L’identità di ogni singola azienda deve rimanere tale, ma tutta una serie di servzi devono essere comuni altrimenti non si realizza il centro commerciale naturale. E’ necessario aggregare tante attività distinte, che ragionano, però, come se appartenessero ad un unico centro commerciale, con una campagna pubblicitaria comune, servizi comuni, oneri comuni, come se fosse un’unica struttura spalmata su più strade: un insieme di strade che ragionano insieme. Questo strumento al sud è stato utilizzato poco e male, i centri commerciali naturali dove sono nati si sono quasi tutti arenati perché non c’era un’adeguata spinta dei commercianti e la collaborazione con le amministrazioni comunale. Come Confcommercio siamo disponibili a sostenere concretamente un’iniziativa del genere ad Atripalda».

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Gianluca Roccasecca