
Un abbraccio tra scienza e comunità: il modello assistenziale dei Centri Nemo al Senato - Ilsabato.com
L’evento che si è svolto oggi al Senato ha fatto emergere un messaggio potente di solidarietà e corresponsabilità nel campo della salute. I Centri clinici Nemo, punti di riferimento per le malattie neuromuscolari e neurodegenerative, hanno mostrato come un approccio collaborativo tra pazienti, istituzioni sanitarie e ricerca possa fare la differenza. In particolare, nella Sala Caduti di Nassirya, diverse voci hanno espresso l’importanza di un modello assistenziale innovativo e inclusivo, nato dalla volontà dei pazienti stessi. Sotto l’iniziativa del senatore Francesco Silvestro, presidente della Commissione Parlamentare per le Questioni Regionali, molti esperti e rappresentanti hanno preso la parola per condividere testimoni di questa esperienza.
La significatività di Nemo tra i pazienti
Il sentimento di appartenenza e vicinanza è stato incarnato dalle parole della giovane Mavi, una paziente dei Centri Nemo e la più giovane giornalista d’Italia. Mavi, aprendo i lavori, ha enfatizzato il legame affettivo con la struttura, definendola “casa”. Queste parole hanno riassunto l’approccio del Centro verso la cura, ponendo l’accento sulla persona nella sua interezza e non solo sulla patologia. I Centri Nemo, con 134 posti letto e più di 400 professionisti, si sono dimostrati un modello di assistenza che conta oltre 20 mila famiglie assistite in 17 anni di attività. I professionisti e gli esperti che hanno parlato hanno ribadito come l’assistenza deve ruotare attorno alla qualità della vita dei pazienti, un’idea sostenuta da Marco Rasconi, presidente dei Centri Nemo, e da altri autorevoli esponenti del settore.
Un modello di servizio sanitario collaborativo
Il modello assistenziale adottato nei Centri Nemo si basa su un’idea di “relazioni a geometria variabile”. Questo approccio consente di adattare i servizi alle specificità locali, assicurando un’accessibilità ottimale per i pazienti. Diverse testimonianze sono state condivise da figure chiave come Luigi Cajazzo, direttore generale Asst Spedali Civili di Brescia, e Rocco Liguori dell’Università di Bologna. Questi esperti hanno descritto come l’integrazione tra diverse pratiche e risorse può portare a un’assistenza più completa e centrata sui pazienti. La sinergia tra le varie istituzioni e i professionisti del settore garantisce una rete di supporto attiva e coinvolgente, migliorando l’accesso ai servizi per una serie di patologie.
Il ruolo delle testimonianze nella cura
Ogni persona coinvolta all’interno del modello Nemo ha una storia da raccontare. Simona Spinoglio, psicologa, e Anna Mannara, nutrizionista, hanno reso testimonianza dell’importanza di un approccio personalizzato e attento alle esigenze dei pazienti. Le loro esperienze contribuiscono a costruire un ambiente dove i pazienti sono visti come individui e non come statistiche. L’evento è stato ulteriormente arricchito dal ricordo di Giovanni Nigro, noto ricercatore nel campo delle malattie neuromuscolari, una figura di riferimento per molte famiglie, commemorato dai suoi figli. Questo tributo ha messo in evidenza l’importanza della continuità dell’eredità scientifica e umana, creando un ponte tra la ricerca e la vita quotidiana delle persone colpite da malattie complesse.
Partecipazione della comunità e riscatto della disabilità
Un aspetto cruciale del modello Nemo è l’attivazione dei pazienti e delle loro famiglie nella definizione dei servizi e delle politiche assistenziali. Dirigenti di associazioni come l’Associazione Famiglie Sma e l’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica hanno discusso il valore della partecipazione attiva, sostenendo che le esperienze di vita reale devono informare le decisioni politiche e i programmi di cura. Anche il contributo di esponenti politici, come Lisa Noja, ha rivestito un ruolo rilevante, sottolineando che la disabilità non deve essere vista come un fardello, ma come una risorsa da valorizzare all’interno della comunità.
Il messaggio centrale dell’incontro è chiaro: l’impegno collettivo verso una cura inclusiva e empatica supera i confini tradizionali delle responsabilità e compone un ecosistema dove “nessuno è solo, nessuno è un numero”. Questo approccio rappresenta un esempio che può ispirare altri modelli assistenziali in tutto il Paese.